25 Giugno 2025
A pesare non è soltanto la dipendenza, ma anche lo sguardo del mondo. Per quanti stanno affrontando un percorso di disintossicazione, la difficoltà maggiore è ricostruire se stessi.
Siamo nella Comunità Terapeutica Residenziale C.L.E.D. “La Torre”, in Contrada San Martino, ad Atri (TE). Una realtà di riferimento per il territorio, che attualmente accoglie 14 ospiti. Lottano contro diverse forme di dipendenza, alcol e droga in particolare.
Ci accoglie Adriana D’Annunzio, oggi coordinatrice della struttura, di cui è stata responsabile psicoterapeuta fino allo scorso novembre. Durante la mattinata abbiamo l’opportunità di visitarne gli spazi, di incontrare gli operatori e alcuni ospiti.
Uno di loro, non senza difficoltà, ha voluto condividere con noi la sua storia: “La cosa più difficile qui è la lontananza da casa, perché sai quello che ti stai perdendo fuori. E poi, è forte il senso di fallimento, di vergogna”. È seduto davanti a noi, spesso abbassa lo sguardo, ma ha voglia di raccontarsi. Nel tempo che ci ha dedicato siamo soli. Ci parla di quello che rappresenta per lui questo percorso, della sua famiglia, del suo lavoro e dei suoi errori, soprattutto di quelli.
“Sono qui da tre mesi. È molto dura. Prima ero in un’altra comunità, fuori Abruzzo, ma non l’avevo presa seriamente, sono addirittura scappato. Ho bruciato dieci mesi, sono tanti” racconta. “Sapevo di avere un problema, ma ancora non riuscivo a rassegnarmi al fatto di non poter bere più. Quando sei ubriaco non ti rendi conto di quello che combini”.
Le dipendenze, di fatto, oltre a prosciugare il benessere fisico ed emotivo delle persone, logorano i rapporti, con i propri cari in particolare. Spesso, infatti, ci si ritrova soli. Non è, fortunatamente, il suo caso.
“Sono in contatto con i miei figli e mia moglie, stavolta voglio farcela davvero, per loro. Non voglio che questo diventi il mio ennesimo fallimento. Qualche settimana fa ho partecipato, grazie a un permesso e con un operatore al fianco, alla Prima Comunione di mia figlia, la più piccola. Mai in passato ho potuto vivere appieno questi momenti. Sono sempre stato preso dal lavoro, sempre di corsa, sempre altrove. Gli impegni mi hanno sempre consumato. Con mia moglie stiamo facendo una terapia di coppia qui in comunità. Pensare alla mia famiglia che mi aspetta mi sta dando la forza”.
Non per tutti, però, è così. “Qui molti non hanno la mia fortuna, me ne rendo conto. Spero di farcela, quando tornerò a casa cambierò il mio stile di vita”.
In questa realtà, per scelta dei responsabili dovute a finalità terapeutiche, ci sono solo uomini maggiorenni. “Non è facile il rapporto con gli altri qui dentro, con qualcuno ho legato, ma gli scontri non mancano. Ognuno di noi ha dei compiti, io mi occupo dell’orto, stare all’aperto mi fa stare bene”. Il raccolto diventa materia prima per la cucina. Ci spostiamo al piano terra per visitarla, è quasi ora di pranzo. La tavola è apparecchiata e quattro ragazzi sono alle prese con i fornelli e le pentole.
Adriana D’Annunzio ci mostra gli ambienti comuni e ci racconta la storia della struttura. “Questa realtà nasce nel ’79 come associazione di volontariato – C.L.E.D., che sta per Comitato di Lotta, Emarginazione e Droga -, composta da familiari di ragazzi o ragazze con problemi di tossicodipendenza. A presiederla era Achille Cadeddu. A contribuire alla sua nascita, anche Cesare Di Carlo, responsabile dell’allora Sert di Giulianova. Inizialmente era un centro di accoglienza, i ragazzi arrivavano la mattina e rimanevano fino al pomeriggio, come un semiresidenziale. In un secondo momento, con i cambiamenti legislativi, abbiamo stabilito di rendere la struttura residenziale, accogliendo gli ospiti anche di notte: fino al ‘94 restavano da noi per un periodo di tre mesi, dopodiché il Sert individuava la comunità più adeguata. Poi ho preso in considerazione l’idea, con alcuni educatori, di dare vita a una comunità”.
Questa la svolta. Nasce così, nel 1995, la comunità C.L.E.D. “La Torre”, nome ispirato dalla vicina Torre di Cerrano, nei pressi della quale in quel periodo si trovava la sede. Una trasformazione importante che ha modificato appieno il ruolo del centro e gli obiettivi terapeutici.
“In quel periodo non c’era un numero massimo di persone, – prosegue – la comunità era una grande famiglia, con delle regole, noi fin dall’inizio abbiamo stabilito dei ruoli molto precisi: un responsabile, che ero io, uno psicoterapeuta, degli educatori. Tutto questo, sempre lavorando in sinergia con i Sert (ora Serd). Nel 2015 ci siamo spostati in questa struttura per i criteri di accreditamento stabiliti a livello regionale. Questo immobile, oggi dell’ARPA, rispondeva alle esigenze legislative in materia”.
La struttura dispone di 20 posti letto, e sta accogliendo 14 persone dai 30 ai 62 anni provenienti da tutto l’Abruzzo, in passato sono arrivate anche da altre regioni. Oggi la responsabile terapeutica è Antonella Serafini, ci sono due psicoterapeuti, Pietro Literio e Annamaria Bernardi, e quattro educatori. Il direttivo dell’associazione è stato recentemente rinnovato: ad Achille Cadeddu è subentrata Concetta Di Cesare, poi l’attuale presidente Nello Rapini.
Nel tempo, le dipendenze si sono modificate, come anche le fasce d’età di chi fa abuso di sostanze. “Quando abbiamo iniziato, la storia della tossicodipendenza riguardava l’eroina, che veniva e viene ancora identificata come la vera droga. A quei tempi, la gran parte dei tossicodipendenti era eroinomane. La persona aveva bisogno di aiuto, la comunità era il posto dove recuperare l’esistenza, aveva un significato molto importante. Oggi l’eroina, perlomeno in Abruzzo, è molto meno usata, a differenza della cocaina e del crack, che si trova dappertutto. C’è un uso trasversale di queste sostanze, dai professionisti ai ragazzini. Adesso l’età media si è abbassata. Molto forte è la dipendenza da alcol”.
C.L.E.D. “La Torre” accoglie persone che combattono ogni forma di dipendenza, tra cui la ludopatia. “La comunità sta diventando un posto dove vengono persone all’ultima spiaggia: il detenuto che non vuole stare in carcere, il marito cacciato di casa, il papà dopo l’intervento del Tribunale dei minori. Spesso i nostri Serd hanno preferito mandarli fuori regione e c’è una mobilità passiva. La motivazione addotta è che altrove c’è un investimento diverso, le comunità creano anche dei percorsi di inserimento socio-lavorativi, sono strutturate in altra maniera e c’è un’appetibilità differente. Qui si lavora poco in quella direzione, ma le strutture non mancano, ci sono comunità in ogni provincia abruzzese, a esclusione de L’Aquila”.
Per la riuscita di un percorso, è necessario tenersi impegnati. Gli ospiti della comunità C.L.E.D. “La Torre” hanno dei compiti ben precisi: dalla cucina alle pulizie, passando per l’orto e la manutenzione della casa e del giardino. “Al suo arrivo, chi inizia il percorso viene affidato a uno psicoterapeuta, laddove ci siano dei figli, curiamo molto l’aspetto della genitorialità. Per quanto riguarda le attività, abbiamo il teatro, hanno realizzato un blog, li portiamo a giocare a calcio piuttosto che in piscina ad Atri, quando possibile. Prima del Covid avevamo un progetto di pallanuoto, Wimpy, con le vecchie glorie di questo sport, alle Naiadi a Pescara”.
Ma quello che più conta è il percorso psicologico. “Dopo 18 mesi se si è lavorato bene, la disintossicazione è stata raggiunta. Le dipendenze sono curabili, ma purtroppo recidivanti. È necessaria una grande motivazione per uscire fuori dalla dipendenza. Bisogna lavorare molto sulla prevenzione”.
Nella tranquillità che accompagna le giornate alla comunità C.L.E.D. “La Torre”, ogni gesto, ogni parola, ogni scelta quotidiana rappresentano un piccolo passo verso la libertà. Qui si impara non solo a dire “no” a una sostanza, ma a dire “sì” alla vita, a riconoscersi nuovamente come padri, figli, compagni, persone. Non esistono percorsi facili, né ricette valide per tutti. Ma esistono luoghi in cui la caduta non è una condanna, bensì il punto di partenza per una lenta e faticosa risalita. La vera forza, insegnano gli ospiti di questa comunità, è quella di guardarsi allo specchio e decidere di cambiare, anche quando tutto intorno sembra remare contro. E forse è proprio questo che restituisce valore e verità a ogni storia che nasce qui: la volontà di ricominciare. Con dignità, con fatica, ma anche – e soprattutto – con speranza.


